Svalutata, vilipesa, studiata poco e male, la geografia non se la passa bene, proprio oggi che ne avremmo più bisogno. La sua crisi, frutto anche di riforme scolastiche sbagliate o mancate, coincide con il successo della geopolitica, che imperversa in tv, sui giornali, nel dibattito pubblico. E questa non è una buona notizia.
Qualche settimana fa entro in una classe, una quarta mi sembra (insegno filosofia e storia in un liceo scientifico), a fare supplenza, chiedendomi come sempre e chiedendo agli studenti se il buco gli serva per ripassare – una verifica, un’interrogazione di massa – oppure se sta a me inventarmi un’alternativa al completo cazzeggio o alla completa noia. Non lo so, prof, mi rispondono, possiamo continuare? – metà della classe è fuori; l’altra metà in aula.
Stanno giocando, alla lavagna elettronica collegata alla rete, a Geoguessr.
Io non ho idea di cosa sia, me lo spiegano: è un gioco per browser il cui obiettivo è indovinare, a partire da pochi elementi, dove si trovi il luogo mostrato da un’immagine di Google Street View fornita randomicamente dall’algoritmo”.
Le scritte che possono dare degli indizi troppo facili – le indicazioni stradali, le bandiere – sono spesso blurrate.
Si fa presto a entrare in fissa per Geoguessr, se si ha un minimo di nerditudine o ci si ingarella facile per le gare a tempo. Per esempio: uno studente esperto di alberi, butta lì Norvegia o Svezia se scorge conifere che – secondo lui – è probabile che crescano nei paesi scandinavi; molti ovviamente cercano di decrittare le lingue che si vedono nelle pubblicità o sulle insegne dei negozi, anche se, quando in inglese, non sono poi così utili per individuare se quello nella foto è il Canada, il Regno Unito, la Nuova Zelanda. Io ne ho tentate quattro, cinque; un paio completamente toppate, un paio giuste, una mi sono avvicinato. Loro tutti non se la cavavano affatto male.
Questa session di Geoguessr è stata un’importante eccezione alla regola. La regola è che la geografia, in ogni sua forma, non esiste quasi più nella scuola italiana.
Quando prendo una classe dall’inizio del triennio, una delle prime attività che propongo in classe è quella di segnare nomi di nazioni e di capitali su una cartina muta dell’Europa: sarebbe abbastanza velleitario altrimenti introdurre basso medioevo al suo termine o fine dei poteri universali (Chiesa, Impero) o la nascita degli stati nazionali, senza conoscere nemmeno posizioni, dimensioni, confini degli stati attuali.
Spesso questo esercizio crea il panico. La misconoscenza geografica è trasversale; anche quelli bravi hanno lacune immense. La ex Jugoslavia può essere un grande buco nero, l’est europeo postsovietico, nonostante due anni di guerra russo-ucraina, anche peggio. Dove è la Moldavia? Quale è la capitale? Dove il Kosovo? E la capitale del Montenegro? Ma questa non è la Polonia? Non ho capito, Slovacchia o Slovenia? Che cos’è, il Liechtenstein? Ce ne sono certo almeno due-tre a classe che, al contrario, sono preparati come per un quiz da Trivial su tutto, capitali del mondo, bandiere, persino sull’Africa interna o sul Sud-est asiatico. Ma la maggior parte degli altri confessano la nuda realtà scolastica: prof, geografia non l’abbiamo fatta.
Non l’hanno fatta. Alle superiori la geografia non è, nei fatti, una materia di studio, al massimo è una curiosità per i giochi online. Le ore di geografia in molti indirizzi superiori di secondo grado sono zero. Sì, è vero, resta, come geneticamente modificata, una materia nuova che da qualche anno fa parte del curriculum formativo di molti licei, che si chiama geostoria, una disciplina evidentemente senza nessuno statuto, ma quanto ha a che fare con lo studio della geografia? Alle superiori di primo grado, le ore di geostoria si perdono nelle ore di lettere, lasciate all’autonoma programmazione dei docenti. E se chiedete agli studenti vi diranno che quando fanno geostoria tolgono il geo- e fanno solo storia, sia perché spesso i docenti non sono preparati, sia perché spesso anche per fare tutta storia, da homo abilis al tardoantico, tre ore settimanali sono poche. (Alla primaria le ore di geografia sono due, quanto quelle di religione).
Come è accaduto questo disastro? L’ultimo funesto macigno si è scagliato sulla scuola italiana tredici anni fa: l’entrata in vigore della riforma Gelmini. Allora uscì un libro che era una raccolta di riflessioni di geografi, che si potrebbe ripubblicare oggi senza nemmeno una rilettura di bozze. A scuola senza geografia?. Lo editava Carocci e lo curava Gino De Vecchis, che era ordinario di Geografia alla Sapienza di Roma e presidente dell’Aiig, l’Associazione italiana insegnanti di geografia.
Il testo era un bilancio allarmato di quello che era accaduto – almeno da fine Novecento (leggi: riforme di Luigi Berlinguer) – e stava accadendo all’insegnamento della geografia a scuola: alle mancate, contorte, sbagliate riforme era seguita l’apocalisse, la disastrosa controriforma Gelmini, che aveva eliminato la geografia anche da quegli indirizzi tecnici dove c’era una tradizione consolidata (il nautico, l’agrario, ambiente e territorio) e aveva introdotto questo ircocervo della geostoria. I geografi a raccolta mostravano più di una perplessità, mantenendo forse per galateo accademico un beneficio del dubbio, che però si sarebbe dimostrato assolutamente malriposto, tenendo anche conto che nei professionali e nella maggior parte dei tecnici, nemmeno la carità di un insegnamento di geostoria veniva elargita!