I diritti LGBTQ+ sono stati SEMPRE legati alla privacy, mentre la violazione della privacy è stata spesso utilizzata per opprimere le persone LGBTQ+ criminalizzandole in base ai propri comportamenti
Una delle osservazioni che ci è stata fatta già ai tempi del primo Privacy Pride del 13 novembre 2021 è la natura del nome “Pride”.
Questo nome infatti non vuole soltanto richiamare il principio su cui si basa quest’iniziativa, ossia l’orgogliosa rivendicazione della privacy, un diritto umano che per sua natura è rivendicabile con tanta più difficoltà proprio da parte di quelle persone che ne hanno più bisogno; ma il nome è anche un tributo alle battaglie della comunità LGBTQ+ che hanno compreso che la scelta coraggiosa di occupare gli spazi pubblici per rivendicare la propria esistenza nella società era un passaggio fondamentale per iniziare a dare agibilità pubblica alla rivendicazione dei propri diritti.
Ma il nome Privacy Pride ci ricorda anche che i diritti LGBTQ+ sono sempre stati legati alla privacy e che proprio la violazione della privacy è stata spesso utilizzata per opprimere le persone LGBTQ+ criminalizzandole in base ai propri comportamenti.
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- Il “Lavender scare” iniziato negli anni ’50 e l’impatto sulla tutela dell’occupazione
- L’epidemia di HIV/AIDS e l’importanza della protezione dei dati personali.
Questi esempi, insieme a molti altri, verranno analizzati nel libro bianco di FPF e LGBT Tech “New Decade, New Priorities: A summary of twelve European Data Protection Authorities’ strategic and operational plans for 2020 and beyond”.
Le lezioni apprese dal passato sulla #privacy e sulla storia #LGBTQ+ possono e dovrebbero continuare a plasmare le conversazioni di oggi. Ad esempio, durante l’era del COVID, possiamo applicare le lezioni apprese dall’epidemia di HIV/AIDS per esaminare le questioni relative alle divulgazioni mediche richieste per il COVID-19. Mentre contempliamo questioni che vanno dall’implementazione del tracciamento digitale dei contatti alle divulgazioni mediche obbligatorie per le persone che sono risultate positive al test per COVID-19, dobbiamo comprendere che la raccolta di dati medici, almeno per la comunità LGBTQ+, è una questione profondamente radicata nella storia, intrisa di stigma e contrassegnata dalla mancanza di protezione legale.
Oggi, i dispositivi e i servizi connessi consentono ai membri della comunità LGBTQ+ di partecipare in modo più completo alla vita online. I dati riguardanti l’orientamento sessuale, l’identità di genere o i dettagli sulla sua vita sessuale di un individuo possono essere importanti per la fornitura di servizi sociali e sanitari, la sanità pubblica e la ricerca medica. Tuttavia, i dati relativi all’identità di genere, all’orientamento sessuale e alla vita sessuale di un individuo possono essere incredibilmente delicati e critici e la raccolta, l’uso e la condivisione di questi dati possono sollevare rischi e sfide unici per la privacy. Il dibattito sulla privacy dei dati LGBTQ+ devono tenere conto dei danni del passato.
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